






Lady Experience / Reportage Barbara

Diario di un’avventura africana al ritmo della Teranga
Conosco Donnavventura da tanti anni e sotto tanti punti di vista: ho ospitato la troupe come ente del turismo, ho seguito la logistica più volte, per viaggi sia in Italia e all’estero, in era Covid e non solo. Ma quella telefonata non me l’aspettavo ed è uno di quei regali che capitano una volta nella vita.
Ero con la mia famiglia e, nel giro di tre secondi la mia mente ha iniziato a correre: figli, lavoro, cane, marito, spesa, genitori, come farò ad organizzare tutto… per fortuna è arrivato in mio soccorso mio marito (non a caso l’ho sposato!) che mi ha detto senza esitate “parti”! Quando mio figlio si è fatto male giocando a calcio, ingessato a pochi giorni dalla partenza, ho avuto di nuovo qualche ripensamento ma in questo caso è stato proprio il mio piccolo a dirmi di partire!!
La destinazione è del tutto sconosciuta, il Senegal, come piace a me. Amo i luoghi lontani dal turismo di massa, e avendo vissuto in Africa porto sempre un pezzo di cuore laggiù. L’unico timore che avevo era legato al gruppo: non conoscevo nessuna delle partecipanti. Mi chiedevo se avremmo avuto feeling, se saremmo state “il team giusto”.
In redazione avevano organizzato il giorno prima della partenza un breve momento per ritirare bagaglio e vestiti, ed è lì che ho iniziato a osservare le altre.
Silvia mi ha colpita subito perché in un minuto aveva sistemato tutto l’occorrente nella sua valigia in maniera ordinatissima, io che ero già arrivata con due trolley stracolmi di cose inutili (amo viaggiare, ma non so fare le valigie…) continuavo a sparpagliare vestiti in giro.
Quando ho visto la sua efficienza ho pensato che se fossi finita in camera con lei l’avrei mandata in tilt. Poi ho notato Federica: il suo ammasso di vestiti era molto più simile al mio e mi sono sentita sollevata. Per fortuna, quella prima notte a Milano, siamo capitate in camera insieme. C’era anche Antonella, e lo dico con affetto: se avessimo condiviso la stanza, tra il mio caos e la sua sbadataggine, avremmo creato una bomba atomica perfetta. Il destino ci ha protette…
Tutte e quattro, quella sera, abbiamo rivisto il guardaroba ufficiale: ci siamo trovate con più piumini che magliette e solo due t-shirt a maniche corte. La verità? Saremmo partite comunque, anche con un sacco a pelo e tre mollette. La voglia di vivere quest’avventura superava tutto!
Dopo la prima notte in hotel a Milano e il trasferimento in bus verso Malpensa, l’adrenalina ha iniziato a salire. Le prime riprese… totalmente fuori dalla nostra comfort zone.
Il volo Neos è stato comodo, nota speciale per la crostatina al cioccolato che ci ha dato la prima autentica “gioia da viaggio”. Le ore sono volate tra chiacchiere, risate, racconti ed occhi che brillavano. Il personale di bordo ci ha raccontato di un popolo molto solidale tra loro, erano parole che avrebbero trovato subito conferma in ogni momento vissuto in Senegal.
A Dakar l’accoglienza è stata vera, africana, con la delegazione dell’ente del turismo ad aspettarci.
Non ci aspettavamo ancora due ore di pullman, eravamo ancora con il ritmo “cittadino”, abituate alla fretta. Non sapevamo che quel pullman sarebbe diventato il nostro piccolo mondo itinerante. Che su quei sedili avremmo fatto confidenze, dormito, cantato, pensato, condiviso emozioni.
Al SeaClub Riu Baobab siamo arrivate stanche e felici: camere eleganti, stile africano contemporaneo, un letto enorme. Sarà stata la stanchezza, sarà stata l’adrenalina che finalmente si abbassava…ma quella notte è stata davvero rigenerante.
La prima meta ufficiale del viaggio è stato il Lago Rosa.
Prende il nome dalle sue acque che, in stagione secca, assumono sfumature rosate grazie a un’alga che produce carotene per difendersi dal sole.
Noi, forse perché agli inizi della stagione e con un cielo un po’ coperto, non abbiamo trovato il famoso rosa acceso, ma questo non ha tolto magia al luogo. Il pranzo sulle sue rive , semplice, tranquillo è stato il nostro primo vero “respiro” africano.
Ma il meglio è arrivato dopo. Un’escursione in fuoristrada sulle dune intorno al lago ci ha catapultate in un’altra dimensione: vento, sabbia, adrenalina pura. Eravamo sulle tracce della mitica Parigi Dakar, e quel pensiero ci ha fatto sentire parte di una storia vissuta e raccontata anche da Maurizio dove Donnavventura ha avuto inizio.
E poi la sorpresa: un gruppo di donne del posto è arrivato a ballare per noi e in pochi minuti ed eravamo tutte lì, a ballare con loro, senza sapere bene i passi ma seguendo l’energia e il richiamo dei tamburi.
Dovevamo ripartire subito…da programma, almeno.
Perché nella realtà abbiamo ballato per quasi un’ora, completamente rapite.
La nostra tabella di marcia? Ufficialmente evaporata.
E il tempo… iniziava a cambiare forma, a dilatarsi, a seguire il ritmo africano.
La giornata infatti non era ancora finita, anzi: il viaggio sembrava allungarsi all’infinito.
Non so quante ore siamo rimaste ancora sul pullman. Ogni mezz’ora qualcuno ci diceva:
“Siamo arrivati!”…e ogni mezz’ora scoprivamo che non era vero.
Nel frattempo la nostra guida Justin ci ha insegnato una canzone che nel giro di pochi minuti è diventata la colonna sonora ufficiale del viaggio.
E così, come se il ballo del pomeriggio non ci avesse già liberato abbastanza, abbiamo ricominciato tutte a cantare per la “gioia” di chi ci ascoltava, sempre più unite.
Quando finalmente siamo scese dal pullmino, pensavamo fosse la fine della giornata e invece a sorpresa, un altro mezzo ci stava aspettando. A quel punto tanto valeva continuare a cantare!
E così, tra una strofa e un’altra, abbiamo percorso l’ultimo tratto. La destinazione?
Un campo tendato, immerso nella quiete africana… e appena scese, la magia è ricominciata.
La sabbia sotto i piedi, le tende illuminate da piccole luci calde, l’aria del deserto che profumava di libertà.
La serata è iniziata con una cena conviviale e ricca, una vera ode alla gastronomia senegalese: couscous royale, dessert freschi, bibite e il tradizionale succo di bissap. Tutto condiviso in un’atmosfera calda, avvolgente, accompagnata dal ritmo delle percussioni locali. Giovani musicisti suonavano attorno al fuoco, e noi ci siamo subito sentite parte di qualcosa di autentico e unico.
Le nostre tende erano vicine e potevamo parlarci da una all’altra, come bambine in un campeggio eravamo felici (anche Silvia che cercava di tenere fuori ogni insetto dalla sua tenda). Una doccia sotto le stelle, il cielo sopra di noi. Quella notte non la dimenticherò mai.
Al risveglio, dopo un giro in cammello per qualche scatto fotografico, la nostra avventura è proseguita nella meravigliosa regione del Sine Saloum, dichiarata Riserva della Biosfera UNESCO.
Il viaggio per arrivarci è stato già di per sé un’esperienza: abbiamo attraversato la foresta tropicale di Samba Dia, ammirato i fenicotteri rosa della riserva di Palmarin e visitato un autentico villaggio sérère, per conoscere da vicino la vita quotidiana di questa popolazione.
La tribù dei sérère è molto presente in questa zona e vive a stretto contatto con la natura, praticando soprattutto la coltivazione dell’arachide e del miglio.
Una donna del villaggio ci ha guidate passo dopo passo nelle tecniche tradizionali di raccolta e trasformazione del miglio, cereale fondamentale per alimentazione ed economia locale.
Ovviamente abbiamo provato anche noi a metterci al lavoro…
Non so se ci avrebbero prese nel villaggio, ma il nostro entusiasmo era autentico!
A Palmarin abbiamo alloggiato all’hotel King Baobab, nuovo, accogliente e davvero confortevole.
Dopo una cena in stile senegalo-italiano, la serata è proseguita con uno spettacolo a sorpresa di canti e danze tradizionali.
Eravamo stanche dal viaggio ma non abbiamo potuto resistere al richiamo dei tamburi e cosi
ci siamo fatte coinvolgere!
La mattina seguente siamo ripartite verso Ndangane, la porta d’accesso alle isole del Saloum.
Sulla banchina ci ha accolto Pierre Diouf, un giovane imprenditore locale che sogna di trasformare il Saloum in una destinazione “rifiuti zero”. Ovunque il suo motto: “Geumb sa bop”, credi in te stesso.
La mia anima da coach non poteva che rimanerne colpita! Ha anche aperto un coco bar dove mi sono candidata per lavorarci!!
Ndangane, con le sue piroghe colorate e la vita fluviale pulsante, è un luogo che ti entra subito nel cuore. La nostra prima tappa in barca è stata l’Île aux Oiseaux, l’Isola degli Uccelli, dove abbiamo incontrato pescatori all’opera, intenti a tirare le reti con metodi tradizionali, e abbiamo scoperto il baobab sacro.
Abbiamo poi proseguito verso l’isola di Mar Lodj, simbolo di convivenza armoniosa tra natura, cultura e spiritualità. Dopo aver provato la mattina la guida col cammello ora è stata la volta del carretto a cavalli.
Siamo rimaste affascinate dalla calma del luogo, fermo a 100 anni fa.
Fuori da un’abitazione abbiamo visto una donna seduta in terra che stirava con un vecchio ferro da stiro a carbone. A casa chi stira è mio marito… ma sarà l’aria del Senegal, qui è venuta voglia perfino a me!
Guidate da Justin abbiamo raggiunto un luogo unico: il ristorante galleggiante “Les Aventuriers du Saloum”, proprietà di Pierre Diouf.
Un posto sospeso tra acqua e cielo, con vista spettacolare sulle mangrovie.
Abbiamo mangiato crostacei freschissimi in un’atmosfera conviviale, accompagnata da musica e sorrisi. Abbiamo conosciuto altre donne, ballato e riso con loro.
E non poteva mancare una sfida: una passeggiata in kayak nel cuore del delta.
Io e Federica, convinte di essere le più esperte, siamo finite incastrate nelle mangrovie…
Alla fine abbiamo lasciato lo scettro a Silvia e Antonella, che hanno dominato la scena!
Tra il fascino del paesaggio, la freschezza dei sapori e l’accoglienza calorosa, questa sosta è stata una delle più memorabili del viaggio.
Al ritorno abbiamo visitato una famiglia peul, che vive nel cuore della natura, senza acqua né elettricità, sostenendosi grazie all’allevamento di capre e mucche e alla vendita del latte.
La loro bellezza, i loro sorrisi, la loro spontaneità e accoglienza…
Sono immagini che porterò per sempre nel cuore.
Dopo l’esplorazione tra il Lago Rosa, le dune di Lompoul e le isole del Saloum, abbiamo fatto rotta verso Dakar.
Attraversata la città con il suo ritmo vivace e caotico, siamo arrivate alla baia di Ngor, dove una breve traversata in piroga ci ha portate sull’isola.
Ngor è un piccolo angolo di pace: un villaggio di pescatori dai colori vivaci, viuzze strette, case decorate e spiagge tranquille dove il tempo sembra rallentare.
Qui abbiamo assaggiato un tipico piatto senegalese, il thieboudienne: riso profumato accompagnato da pesce appena pescato e da una ricca zuppa di verdure — carote, igname, cavolo, melanzane.
Un piatto che racconta tutta l’anima del Senegal.
Sull’isola abbiamo chiacchierato con i suoi abitanti e fatto qualche acquisto locale.
Questa parentesi insulare ci ha regalato una pausa rigenerante dal trambusto del centro città.
La giornata si è conclusa sulle alture della collina delle Mamelles, al cospetto del Monumento della Rinascita Africana: una scultura monumentale concepita come tributo all’orgoglio, alla storia e alla modernità del continente africano.
Con i suoi 52 metri di altezza, domina la penisola di Capo Verde e offre una vista spettacolare su Dakar, soprattutto al tramonto.
La mattina dopo il viaggio è continuato a circa sessanta chilometri da Dakar, non lontano dalla Petite Côte, all’Accrobaobab Adventure.
È il primo parco al mondo di percorsi acrobatici costruito interamente su baobab millenari, gli alberi iconici e maestosi dell’Africa occidentale.
Un sito unico, un’esperienza sportiva ed ecologica perfettamente integrata nella natura.
Io non avevo mai fatto niente del genere.
E, soffrendo di vertigini, è stato il primo momento in cui ho pensato davvero:
“Ma chi me l’ha fatto fare?!” Ma poi sono arrivate loro: le mie compagne di viaggio.
Il loro incoraggiamento a ogni passo, la loro forza, il loro entusiasmo.
La professionalità dello staff e il sostegno di tutto il gruppo mi hanno guidata attraverso ogni piattaforma, ogni corda, ogni baobab e alla fine del percorso, sudata e felice, ho pensato solo:
“Che figata.”
Sempre più immersa in questo viaggio, sempre più legata a un gruppo di donne che fino a pochi giorni prima erano perfette sconosciute… e ora così importanti.
Il pomeriggio è proseguito con un’emozione completamente diversa ma altrettanto intensa: un safari in 4x4 nella Riserva di Bandia, una delle più famose del Senegal.
Fondata negli anni ’90, si estende per oltre 2.000 ettari e ospita una straordinaria varietà di fauna africana: giraffe eleganti, bufali, rinoceronti, facoceri, zebre, struzzi, scimmie, antilopi… e perfino qualche iena.
La scena era resa ancora più suggestiva dai baobab colossali e dalle acacie giganti, rifugio per uccelli coloratissimi.
La nostra guida ci ha raccontato come la riserva contribuisca alla tutela della biodiversità e alla reintroduzione di specie scomparse in Senegal.
Una giornata intensa, selvaggia e profondamente trasformativa.
Una di quelle che ti ricorda perché viaggiare sia una delle forme più belle di libertà.
Dopo il cammello e il carretto, non poteva mancare un’uscita in quad nel domaine di Nianing, lungo piste che serpeggiano tra la spiaggia, i villaggi peul e la savana.
Con il casco ben allacciato e le mani salde sul manubrio abbiamo iniziato a sfrecciare tra distese di sabbia dorata tratti di terra rossa e piccoli villaggi con bambini che ci salutavano sorridendo, in un susseguirsi di emozioni, adrenalina e panorami che cambiavano a ogni curva.
Dopo pochi minuti eravamo già ricoperte di polvere dalla testa ai piedi… e per fortuna le nostre mitiche salviette Fria ci sono venute in soccorso!
Dopo l’euforia dei motori ci siamo spostate in un ranch della zona.
Mentre la nostra cavallerizza Antonella si godeva il suo giro a cavallo noi ci siamo dedicate a un’altra piccola meraviglia del Senegal: la preparazione del tè senegalese, il famoso ataya.
Tra chiacchiere, risate e foglie di menta freschissima abbiamo iniziato a capire davvero il significato profondo della Teranga: l’arte senegalese dell’ospitalità, dell’accoglienza generosa, del prendersi cura degli altri con semplicità e cuore. Un momento lento autentico, fatto di chiacchiere e ricordi.. un altro tassello prezioso di questo viaggio che ci sta cambiando dentro.
La visita al mercato di Mbour è stata una delle esperienze più intense del viaggio: un’esplosione di colori, odori, suoni, vita. Mbour è il secondo porto artigianale del Senegal e si vede: un continuo via vai di pescatori, donne indaffarate, bambini ovunque.
I bambini correvano a raccogliere i pesci caduti durante il trasporto verso i camion, mentre le donne cercavano di accaparrarsi il pesce più fresco da rivendere al mercato.
Abbiamo visto persino un carretto trainato da un cavallo entrare direttamente in acqua per aiutare nel trasporto: una scena che non dimenticherò mai. Orate, rana pescatrice, cernie, tonni pinna gialla… Un trionfo di colori e di profumi forti, autentici, veri.
Le piroghe continuavano a partire verso la costa, cariche di uomini, reti e speranza.
A un certo punto ci siamo fermate vicino a un gruppo che stava mangiando pesce fritto, spaghetti e bevande locali — succo di baobab, tamarindo… profumi nuovi, sorprendenti.
All’inizio erano un po’ intimoriti dalle telecamere, ma è bastato un saluto e dopo cinque minuti eravamo sedute al loro tavolo, tra risate e brindisi improvvisati.
A momenti combinavano pure un matrimonio con Federica!
Non potevamo chiudere il nostro viaggio in un posto migliore.
Il volo di ritorno è volato , avevamo ancora mille cose da dirci, da rivivere, da raccontare.
E quando l’aereo è partito abbiamo pianto tenendoci per mano. Non per tristezza, ma per gratitudine.
Sappiamo che questi ricordi resteranno con noi: la bellezza di un luogo autentico e quella di quattro donne speciali, scortate da uomini altrettanto speciali.
Andrea, l’uomo più paziente del mondo;
Gratis, sempre sorridente;
Malik, che con noi ha riso e pianto;
Justin, che mette tutto se stesso in questo lavoro, con una combinazione rara di pazienza, cuore e professionalità.
Il ringraziamento più grande a Maurizio, che ci ha lasciato vivere davvero questa esperienza, senza pressioni, senza corse, permettendoci di entrare in contatto con la vera anima di questa terra accogliente. Grazie anche per avermi portata sui baobab, una sfida che da sola non avrei mai affrontato e che ora mi fa sentire un po’ più “Donnavventura”.
Grazie per aver sopportato i nostri canti stonati e gli sketch venuti male rifatti mille volte.
Grazie, davvero per questo regalo che a 50 anni non è scontato, e che terrò sempre nel cuore.
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