RICOLARONCATOFRANCOROSSOJEEP
 

Alla scoperta dell'isola di Djerba.

Siamo a Djerba o dai più soprannominata Djerba la Douce. È l’isola dolce, l’isola dei sogni grazie alle mille e una storia che si raccontano su di lei. Djerba è l’isola incantata dei Lotofagi, narrata nell’epica Odissea di Omero. Qui vive un popolo che mangia frutti di loto, un sapore così dolce che procura come effetto un languido incantesimo. Questi frutti magici, con il loro potere narcotizzante, avvolgono chiunque gli assaggi in un abbraccio di oblio e felicità, trasportandoli in un sogno senza tempo.
Apriamo gli occhi è già mattina.
Son felici questi giorni che non appartengono al tempo, dove il mattino non ha mezzogiorno ne sera, un giorno in cui non hai bisogno di orari, ma solo di viverlo. Così all’insegna dell’atemporalità ci addentriamo nel cuore dell’isola. Siamo al souk, il mercato tradizionale, in questi giorni si percepisce che qualcosa di importante tra le vie è passato. La gente è poca e per lo più sono uomini. Dove sono le persone? Dove sono le donne? Perché non c’è l’asta del pesce? Perché nessuno grida?
Capiamo subito che le energie degli abitanti son state terminate la scorsa domenica nella celebrazione più importante del paese, la festa di Aid el-Kebir dedicata al nobile atto di Adamo di sacrificare suo figlio Ismaele per dimostrare la sua devozione a Dio. Proprio in questo giorno si simula l’atto sacrificando un montone. I volti della gente sembrano siano scavati dal tempo. Le poche donne che ci sono ridono, non ti conoscono, non ti capiscono, però ridono. Ridono tanto sino a darti pacche sulle spalle e farti ridere anche a te. Tutti cadiamo in una grande risata.
La donna, essenza delle muse, qui riesce a ritagliarsi la sua autonomia. In sella a moto sfreccia in tutte le vie. Ma pur sempre siamo in una terra dove tu donna puoi parlare, ma la maggior parte delle volte non vieni ascoltata, tu parli e nessuno si gira, nessuno ti guarda. In questo viaggio vogliamo sottolineare la forza della donna, la sua indipendenza, i suoi infiniti valori. In questa terra le donne sono riuscite a conquistare il proprio spazio, sono riuscite a far vedere a tutti cosa hanno costruito.
Con la gola secca ci sediamo in un classico bar marocchino per bere il te alla menta. Questo posto è popolato solo da gente locale, con la teiera in mano il cameriere ci serve la bevanda facendola cadere dall’alto.
La bandiera ancora una volta si presenta avanti ai nostri occhi. Cade dall’alto, rossa come il sangue di chi lotta e si ostina, un cerchio bianco, simbolo di pace e unione, culla una mezzaluna, segno di devozione.
Una donna ci conduce all’interno di un’antica abitazione tunisina, ora adibita a hotel, Dar Dhiafa. Lo stile che lo caratterizza è quello tipico arabo gerbino. In un labirinto pieno di stanze e cortili giochiamo a fare le modelle. Una stilista ci veste con degli abiti locali e noi posiamo tra cunicoli e scalette bianche.
In questo hotel brindiamo alle donne, alle Donnavventura, all’inizio di un gran viaggio.
Siamo nel quartiere chiamato Djerba Hub riconosciuto a livello mondiale per il suo progetto di artisti di graffiti.
Ci mettiamo in cammino per una destinazione che sazia gli animi e la pancia. Ha inizio un pranzo senza fine in una barca attraccata a terra ricostruita per ospitare i più facoltosi tunisini in un ristorante di lusso, dove le papille gustative possono esplodere di piacere. La tavola è già pronta, imbandita con antipasti tipici tunisini, tra cui il brick, il piatto sicuramente più iconico di questa terra. Dentro di una sfoglia fritta e sottile, chiamata malsouka, vi sono patate, tonno, prezzemolo e uovo. Tra le altre specialità negli antipasti vi sono diverse fritture di pesce, la Harissa, una salsa piccante tipica, la chackouka, un mix di verdure cotte lentamente con un filo d’olio e sopra un uovo in camicia. Il piatto forte è l’imperdibile cous cous di pesce, preparato con diverse verdure e condito con il brodo ricavato dal pesce. Il pranzo finisce, con i corpi colmi di felicità ci dirigiamo verso un luogo sacro.
E ancora a condurre la nostra spedizione sono le donne. Entriamo nella sinagoga El Ghriba, uno dei luoghi di culto ebraici più antichi e significativi del Nord Africa, fondata da una donna straniera, da qui deriva il nome del luogo di culto. Nella sinagoga chiudiamo gli occhi ed esprimiamo un desiderio, proprio come facevano anticamente le donne quando lasciavano l’uovo in un buco situato al centro del luogo di preghiera. Se il desiderio si avverava dovevano ritornare per lasciare un ex voto come simbolo della sua realizzazione. Una voce risuona nella mente: “è vero che le calamità bruceranno e che resteranno solo le preghiere sulle labbra appassite di smeriglio?” Si inchina a pregare la donna col velo coperta, congiunge le mani.
Lasciamo la sinagoga per rimetterci in cammino e farci sorprendere da ciò che si presenta lungo la strada. Ecco tre donne in motorino che sorridono e ci salutano. La nostra guida ci conduce senza saperlo proprio nella loro stessa destinazione.
L’uomo in questo variopinto mondo dai sette colori di spezie profumate, ad ogni ora canta la sua preghiera. Il muezzin richiama alla preghiera e tutti i fedeli si inchinano alla sua voce. Siamo avanti una moschea sul mare. Qui ritroviamo le tre ragazze, sono sedute sul pontile, facendo un picnic. Vogliamo conoscere da vicino questa cultura, vogliamo addentrarci con tutti i sensi. Ci approssimiamo. La dolcezza delle ragazze si percepisce sin da lontano, nei loro occhi vi è raccontato tutto, da questo scambio visivo capiamo che possiamo avvicinarci. Ci offrono bevande, cibi, dolci, ci raccontano le loro vite. Sempre più ci sentiamo orgogliose di essere donne, sempre più vogliamo essere in grado di avere una voce che possa risuonare forte.

 
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